Rispondere al fuoco col fuoco

E’ iniziata con largo anticipo quest’anno la stagione degli incendi. Negli ultimi 15 giorni le basse Madonie sono state interessate da fenomeni dolosi ricorrenti che hanno messo a rischio molte proprietà materiali e non, lambendo in alcuni casi persino le abitazioni. Uno scenario preoccupante a cui sembra si stia facendo l’abitudine.

Lo scorso 27 aprile i territori di Pollina e San Mauro, nella preziosa Valdemone, sono rimasti coinvolti da un incendio divampato nel pomeriggio, complice lo scirocco. Mezzi e uomini intervenuti hanno fatto il possibile per arginare le fiamme, ma a Finale la notte è stata un incubo per i cittadini, parte dei quali hanno dovuto evacuare. Lo stesso scenario si è ripetuto pochi giorni dopo a Cefalù e, in maniera consecutiva, le colonne di fumo hanno impegnato le energie e gli sforzi dei soccorritori e di quanti hanno la responsabilità di coordinarli (8-11 maggio).

L’analisi delle cause è ben nota: i moniti del giugno 2016 riecheggiano ancora vividi nel ricordo di quanti hanno rischiato tutto tra le fiamme e per le fiamme. Allora fu sottolineato che non si trattò di piromani –perché la piromania è una malattia- ma che si era e si è tutt’ora di fronte a criminali del fuoco, un’organizzazione ben più articolata e collusa, con l’unico obiettivo di guadagnare a spese della collettività. La ragione degli incendi è la speculazione, perché incendi a finaledove passa il fuoco non c’è più pregio ambientale e quindi nessun motivo di porre vincoli alle costruzioni e allo sfruttamento agricolo.

Quanti altri ettari di terra dovremo veder incenerire prima di applicare possibili soluzioni? E’ ai sindaci va rivolto un richiamo innanzitutto perché intraprendano iniziative concrete e coraggiose, passando al catasto le particelle percorse dal fuoco. Rimappare il territorio a seguito degli incendi e rendere inedificabili tali zone imponendo il divieto di cambio di destinazione d’uso impedirebbe il verificarsi di operazioni speculative. Comminare pene più severe per i criminali poi (se e quando vengono presi), scoraggerebbe il perpetuarsi di questi illeciti.

Inoltre una maggiore sorveglianza delle zone a rischio andrebbe attuata costantemente, dal momento che le richieste poste fino a questo momento non sono state sufficienti. Infine la battaglia è anche culturale: bisogna agire per far crescere il senso civico e maturare un maggiore rispetto per l’ambiente.

L’emergenza si riflette quindi su vari aspetti ed è tempo di rispondere al fuoco col fuoco.

 

Sofia D’Arrigo

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