Loredana Longo e le opere in fiamma

Longo Loredana_Victory#8 Melilla copiaLa Galleria Francesco Pantaleone è lieta di presentare al pubblico la quarta personale di Loredana Longo (Catania, 1967) dal titolo, Victory, a cura di Valentina Bruschi, che si inaugura venerdì 22 aprile alle ore 18.30, accompagnata da un testo della curatrice e da uno scritto della giornalista franco-marocchina Zineb El Rhazoui, collaboratrice di Charlie Hebdo e attivista per i diritti umani. L’artista, che ha coinvolto tutto lo spazio della galleria in una grande installazione site-specific che collega tutti i lavori in mostra, presenta una serie di opere nuove, realizzate appositamente per l’occasione, che danno il titolo all’esposizione. Si tratta di grandi teli di velluto prezioso sui quali l’artista interviene lentamente, con la fiamma di un saldatore elettrico, realizzando bruciature che – attraverso la sottrazione della materia – disegnano i paesaggi di distruzione (Aleppo e Palmira) e gli alti muri di separazione (Melilla). Immagini che ogni giorno i media ci restituiscono. Il risultato è una serie di arazzi, sui quali campeggia la parola “Victory”, che appare – ripetuta  – in un gruppo di sculture in marmo.

“Victory” è una parola che nello stesso momento in cui è detta, si contraddice- afferma l’artista – la vittoria di qualcuno è sempre la sconfitta di qualcun altro. Dietro una vittoria c’è sempre dolore, che sia sportiva, o che sia militare, qualcuno ha sofferto per essa”. Dunque una definizione intesa qui come enantiosemica, il cui significato, una volta inserito nel contesto, assume un senso opposto a quello originarioCi si chiede, rileggendo Susan Sontag, qual è “l’aspetto che la guerra assume quando la si vede da lontano, sotto forma di immagine. Le vittime, i parenti afflitti, i consumatori di notizie – ognuno di essi ha una sua propria vicinanza o distanza dalla guerra”. E ancora, “nell’era della fotografia, dalla realtà si pretende sempre di più. L’evento reale può non essere abbastanza spaventoso, e perciò va potenziato; o reinterpretato in maniera più convincente”. Loredana Longo rielabora le immagini fotografiche dalle quali parte per la realizzazione dei suoi arazzi, attraverso il suo linguaggio particolare, utilizzando quella che lei stessa ha precisato qualche anno fa come, “estetica della distruzione”. Una definizione per il suo lavoro, iniziato con la serie “Explosions”, in cui utilizza la polvere nera per fare saltare in aria oggetti legati ai feticci della famiglia borghese: il pranzo di natale, la camera da letto coniugale, il banchetto di nozze. Questi scenari di vita familiare vengono poi “parzialmente restaurati” dall’artista, che ricompone i pezzi in un novo equilibrio formale, passando dalla distruzione alla ricostruzione, documentata da video e fotografie.  L’ambiente domestico, quello privato per eccellenza, diventa modello universale dei rapporti sociali.

Dal 2011 il centro della sua ricerca si sposta dalla famiglia alle emergenze della nostra contemporaneità, come il dramma della migrazione nel Mediterraneo, che è diventato uno dei temi ricorrenti dei suoi ultimi lavori. Il risultato è un corpus di opere di denuncia– dai tappeti di “Place/No Place”, con sopra bruciate le frasi dei potenti del mondo, alle performance “My Own War” e “Tu primo a sorgere” –  che hanno una forte ispirazione etica. Opere che mirano a denunciare la passività e l’assuefazione alla violenza. L’artista non urla ma brucia. I soggetti scelti per gli arazzi sono immagini, divenute icone della nostra storia recente: momenti di tensioni, spesso legati a delle esplosioni, ma non solo, sono soprattutto immagini che rappresentano dei momenti di sconfitte/vittorie di una parte dell’umanità sull’altra”. Loredana Longo (Catania nel 1967. Vive e lavora tra Catania, Milano e la Filanda a Pieve a Presciano, in Toscana), si occupa prevalentemente di installazioni, video, fotografia e performance. Il suo lavoro parte da una ricerca intimistica e personale per proiettarsi verso tematiche sociali più ampie.

 

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