Gangi, da Borgo più bello d’Italia a epicentro dell’apocalisse

gangi1Nella settimana successiva a quella in cui il cristiano celebra la risurrezione di un uomo e di un Dio, un piccolo borgo del messinese, Montalbano Elicona, viene eletto “Borgo dei borghi d’Italia 2015“, succedendo a Gangi che si era fregiato di questo titolo nell’anno precedente. Questo fenomeno coincide con l’opportunità di porre al centro di una (forse timida e sopita) attenzione turistica un paese e trarne inediti benefici. L’operazione quasi fisica di attenzionare un paese presuppone che fino a quel momento il borgo abbia occupato una posizione periferica o marginale. Se questo ragionamento fosse vero, Gangi dovrebbe abdicare nei confronti di Montalbano Elicona e vivere senza lo scettro del 2015 con quello del 2014 e con quello che in questo anno è riuscito a fare. Vero o no, di fatto c’è un ritorno alla normalità e una discesa dal trono. Gangi non è più al centro. Eppure, crocevia dell’entroterra siculo, onfalo della Trinacria, Gangi occupa una posizione geografica centrale. Contravvenendo a recenti fiction Rai, il mare a Gangi è così distante da farci dimenticare che la Sicilia è un’isola.

Isola è la parola da cui deriva isolamento. Nessuna risurrezione del territorio, questa settimana nei pressi del Borgo più bello d’Italia 2014. Anzi, pare che una lieve pennellata di apocalisse sia stata passata sul paese.

Tutto inizia il lunedì dell’angelo: al ritorno dalla pasquetta i gangitani non possono togliersi di dosso i sapori dellla giornata grazie ad una doccia, non possono accendere i riscaldamenti per attenuare questo falso inizio di primavera, non possono cucinare. Chi ha in casa un allaccio al metanodotto, infatti, deve fare i conti con il guasto che ha interessato la conduttura posta tra la SS120 e il termine di Via Loggia del guardiano, proprio nel tratto di strada dove la carreggiata s’è ridotta ad una sola corsia, causa frana.

Frana. Questa parola rinvia alla notizia di venerdì 10 aprile: uno smottamento iniziato nel 2005 ha provocato il cedimento strutturale di un pilone che sorregge il viadotto Imera, al km 57,500 della A19, a 500 metri dallo svincolo di Scillato, innescando un effetto domino su altri due piloni e causando l’appoggio di un tratto di autostrada sull’altro. Forse per caso o forse per fortuna, non si è dovuta attendere la strage per accorgersi di una strada alla deriva che si è abbattuta su se stessa. Centinaia di madoniti, ogni settimana la percorrevano per raggiungere il capoluogo o per farne ritorno. La chiusura del tratto tra Scillato e Tremmonzelli in entrambi i sensi di marcia, rinvia ad un percorso alternativo che sicuramente non può essere quello lungo la SP9bis (Scillato-Collesano), chiusa, nè la SP24 che collega Caltavuturo allo svincolo autostradale, anch’essa chiusa. Finché regge, ci sarà il tratto Cefalù-Castelbuono-Geraci a collegare Palermo alla Sicilia centrale. Stavolta non una pennellata ma una vera e propria fucilata carica di apocalittici presagi è partita dal giornalista di un servizio televisivo che preconizzava un lasso di tempo biblico di 10 anni per il ripristino del tratto interessato. Ci auguriamo di non confondere il termine isolano con quello di isolato, o peggio, stilita o dendrita, tanto per riportare in auge antichissime modalità di eremitaggio a seconda del supporto su cui si preferisca passare la vita meditando.

La terza ed attualmente ultima tipologia d’isolamento riguarda quella della telefonia fissa e mobile. A partire dalla serata di venerdì 10 e per larghissima parte del giorno seguente, gestori di telefonia mobile e molteplici abitazioni sono rimaste isolate per via di un’interruzione alla rete delle comunicazioni. Se qualcuno dovesse mai scusarsi, il sottotitolo di queste situazioni sarebbe pressappochista ma della serie: “I nostri tecnici sono al lavoro per riparare il guasto alla rete e ripristinare il servizio. Ci scusiamo per il disagio”. E disagio è giusto che si prova per scoprirsi impediti nel leggere un qualche tweet del politico di turno che manifesta tutta la propria solidarietà ad un così medievale isolamento che non deve mai più ripetersi ai danni della cittadinanza. Anche qui, il pressapochismo di un vuoto burocratese dovrebbe esprimersi nel suddetto modo. E non è nemmeno il caso di menzionarla tutta la vicenda di cui è stato protagonista recentemente un politico settentrionale giocando sull’isolamento o meno di Geraci Siculo. Piuttosto, degna di essere ripetuta è parte di una canzone di De Andrè che recita: “e lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità “.

Se qualcuno mai dovesse far qualcosa, deve pensare che con le parole si può giocare. Dagli isolamenti possono nascere menti isolate che possono costituire risorsa e possono rappresentare pericolo. È stato sperimentato che in condizioni di partenza svantaggiate, un soggetto si adegua all’ambiente circostante traendone possibili vantaggi. Potrebbe persino essere fonte di orgoglio il superamento del limite grazie alla resilienza. L’evoluzionismo ci insegna che è solo davanti un problema che un individuo sviluppa una soluzione. L’eschimese contro il freddo, il beduino contro il deserto. Staremo a vedere cosa farà l’isolano contro l’isolamento. Di contro, non comunicare, non aprirsi verso l’esterno, non aggiornarsi, vivere di alquanto ristretta osmosi, potrebbe lentamente portare al declino e, conseguente, morte di chi, ottuso e ottenebrato, se la canta e se la suona.

Congediamo il paziente lettore con un commento letto in qualche social network che un isolano in trasferta ha scritto. Il ragazzo sarcasticamente ringraziava la classe dirigente per avergli negato, con le loro inottemperanze, alcune possibilità che lo hanno adesso costretto ad emigrare verso il nord Italia, dove lì ha trovato lavoro. La terra natia è quella che ti nutre. Rimandiamo ad un’altra canzone, stavolta dei Tinturia, “92100”, che come può racconta anche di un padre che ammonisce un figlio e che riceve risposta. Lasciamo al lettore la dolceamara scelta di esprimere la propria capacità  di giudizio in merito alle condizioni in cui il siciliano vive la terra che abita e alle reazioni che ha sviluppato e deve continuare a sviluppare per resistervi. Si sa, per quanto capiente, un’isola accoglie un numero circoscritto di isolani.

 

 

Francesco Bongiorno

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