C’era una volta il Mediterraneo (di Italo Piazza)

Mar Med Il Mediterraneo: un mondo intero, la culla della civiltà occidentale,il mare solcato fin dai tempi più remoti da mercanti,navigatori,coloni,il mare più vivo per millenni sotto il profilo culturale è oggi in grave pericolo.

Il Mediterraneo “ Mare  Nostrum “ è quel mare che bagna le coste meridionali del continente europeo, quelle occidentali dell’Asia e quelle settentrionali dell’Africa. Esteso per circa 3 milioni di chilometri quadrati, lungo circa 4000 chilometri da ovest a est e largo 1.800 chilometri circa da nord a sud, è diviso convenzionalmente in due bacini: l’occidentale, che comprende il mare delle Baleari, il mar Ligure e il Tirreno, e l’orientale, che è formato dall’Adriatico, lo Ionio e l’Egeo.

Le comunicazioni tra i due bacini avvengono attraverso il canale di Sicilia,detto anche canale di Tunisi. Costellato di numerose isole, le più grandi delle quali sono la Corsica, la Sardegna, e la Sicilia, è profondo fino a 5.000 metri nella fossa ellenica; percorso da una grande corrente superficiale che determina un moto generale delle acque costiere in senso antiorario con direzione est, è solcato da numerose correnti minori.

img009La salsedine delle sue acque è molto elevata rispetto a quella degli oceani, con un massimo del 39 per mille e anche maggiore nel bacino orientale.

Molti sono i fiumi che vi si gettano: dal Nilo, unico importante delle coste meridionali, all’Ebro,al Rodano, al Tevere, al Po, all’Adige, e molti sono i porti che fungono da scalo per i commerci interni e per gli scambi con le altri parti  del mondo; tutti porti dalle antiche tradizioni, come Barcellona, Marsiglia, Genova, Napoli, Trieste, Tripoli, Alessandria e molti altri ancora.

In questo universo liquido, la cui storia e indissolubilmente intrecciata con la storia dei paesi che vi si affacciano, giacciono i resti di tutte le civiltà che sono nate, fiorite e morte lungo le sue rive.

Navi, porti, interi agglomerati urbani, opere d’arte si consumano nei secoli spazzati dal moto incessante, dal respiro del Mediterraneo, incrostati di animali e di piante, semisommersi  dai depositi di sabbia e di conchiglie, divorati dagli organismi viventi e dagli agenti chimici che a poco a poco li demoliscono fino a ridurli in fini materiali che vanno a depositarsi sui fondali marini in strati più o meno spessi.

E’ il 1919, il Principe Alberto di Monaco, appassionato studioso del mare e studioso fondatore del Museo Oceanografico di Monaco, istituisce la Commissione Internazionale per l’Esplorazione Scientifica del Mediterraneo( CIESM ) con sede a Parigi presso L’Istituto di Oceanografia; ne fanno parte: l’Italia, Francia, Monaco, Spagna, Marocco, Tunisia, Grecia, ed i paesi della ex Jugoslavia.

Da allora, l’opera del CIESM, ostacolata dalla guerra e dagli eventi politici che hanno interessato molti dei primi aderenti, più volte del tutto interrotta per mancanza di fondi e riorganizzata nel 1951, è servita non solo a condurre importanti studi volti alla conoscenza più approfondita del Mediterraneo, della sua ecologia e delle sue malattie, ma anche a sensibilizzare i governi dei paesi aderenti e di quelli non aderenti ai problemi del loro mare.

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Oggi le nazioni interessate sono più di venti, e un piano votato dai loro rappresentanti prevede lo studio di tutti gli aspetti ecologici, biologici, oceanografici del delta del Nilo, il cui assetto è profondamente mutato in seguito alla costruzione della grande diga di Assuan che ne ha regolamentato le acque.

Altre grandi organizzazioni  internazionali, tra cui la FAO e l’ONU, si sono mosse per conoscere il nostro mare,e per arginare e prevenire il dramma che vi si sta svolgendo, coscienti che se esso dovesse svilupparsi fino a raggiungere il cosiddetto “punto di non ritorno” , dovesse cioè diventare irreversibile, coinvolgerebbe la vita economica e minaccerebbe la sopravvivenza fisica di quei quattrocento milioni di individui che gravitano sull’area Mediterranea.

L’United Nations Environment Programme ( U.N.E.P. ) ha varato un piano votato da diciotto paesi ( altri si stanno aggiungendo ) per lo studio dei problemi del Mediterraneo; il Conceil General des peches pour la Mediterranee,creato dalla F.A.O. nel 1969 e al quale aderiscono quasi tutti i paesi Mediterranei, studia la situazione della pesca per programmare gli interventi delle nazioni interessate in vista dell’aumento demografico, e della produzione della pesca, mentre altri numerosi organismi  locali studiano in modo globale e più settorializzato i singoli problemi delle varie zone, per poter poi agire  in un modo coordinato al fine di risolvere un problema comune.

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Quello della salvaguardia del Mediterraneo, come del resto di tutti i mari e gli oceani del mondo,è infatti il problema globale. I parchi, le riserve, le zone marine protette, gli impianti di depurazione di liquami cittadini,(ormai in disuso o non funzionanti per mancanza di fonti, e di manutenzione, e quindi come alternativa si creano quei disastrosi pannelli a mare,cioè incanalare i liquami in dei tubi rigidi di plastica di grosso spessore,e pompare il tutto a sette otto miglia marine dalla costa, ad una profondità di trenta quaranta metri sott’acqua in modo che la pressione non faccia emergere quello che viene pompato. ) e degli scarichi della produzione industriale, la limitazione degli insediamenti costieri, tutti quegli interventi che con un po di buona volontà politica, sarebbe possibile effettuare, se restano isolati non raggiungono il loro scopo.

Le isole e le paludi costiere, le praterie di alghe, le barriere coralline non sono entità autonome, ma parti di un insieme che si stende dalla terraferma al mare aperto, anzi all’oceano aperto, da una parte all’altra dell’oceano stesso. Gli oceani hanno dei confini, ma sono confini labili e non sempre corrispondono a ciò che conviene all’umanità.

Le correnti, i sollevamenti, le differenze di salinità e di temperatura possono essere barriere: la costa, invece unisce più che separare la terra dal mare. I pesci, i mammiferi marini, gli uccelli migrano da una parte all’altra più volte nel corso di un solo anno: proteggere una zona, lasciando che l’altra sia avvelenata, non può servire a nulla. Il plancton, anello fondamentale della catena alimentare che nutre gli esseri umani e quelli che gravitano sul mare, uomo compreso, affiora in certe zone in determinati periodi dell’anno, sale e scende nella colonna d’acqua a seconda della temperatura e della luce, si muove incessantemente.

Come possono bastare allora iniziative isolate come questo modestissimo articolo, se i mari, sistemi dinamici di processi fisici  e biologici interagenti,continueranno a subire l’accumularsi di errori su errori, molti dei quali si possono rivelare irreparabili?Si le nazioni si stanno muovendo, i governanti cominciano a capire, ma è ben poco quello che si fa.

img010Basterebbe dare un’occhiata agli stanziamenti che i singoli governi mettono in bilancio ogni anno per questo tipo di intervento e ci si renderebbe  conto ben presto di come si stia correndo a gran velocità verso il disastro. I dati e le osservazioni del comandante Jaques Costeau che scrisse durante i suoi viaggi attraverso il globo, sull’inquinamento marino sono semplicemente terrificanti, da venti anni a questa parte la vita marina negli Oceani, intesa nel senso più lato e cioè dalle alghe ai protozoi, ai celenterati, ai molluschi e ai pesci, è diminuita in una proporzione variabile fra il 30 e il 50%.

Le capacità depuratrici e rigeneratrici degli Oceani, divenuti il grande “immondezzaio” dell’uomo, il deposito di tutti i rifiuti ,di tutte le scorie radioattive e industriali, non sono finite come si era scioccamente creduto e mostrano già di aver raggiunto e superato il “ livello di guardia “ , grazie all’ingegno che corre di pari passo  alla nostra incoscienza e crudeltà di rovinare irreparabilmente il nostro pianeta, cosa diremo ai nostri figli? Ai nostri nipoti? Domani tutto questo sarà tuo? E che cosa sarà veramente suo?.

img018Oltre ai pericoli derivanti dagli incidenti possibili nelle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, o delle navi e nei sommergibili a propulsione nucleare, uno dei più gravi problemi che si pone alla civiltà dell’Atomo è quello dello smaltimento dei rifiuti, o scorie radioattive. Cosa sono questi rifiuti ?  Sono quelle sostanze che si originano dalle reazioni nucleari e che, non potendo essere in alcun modo utilizzate, costituiscono il materiale di rifiuto appunto dei reattori.

Altamente radioattive e con tempi di decadimento estremamente lenti, queste scorie devono essere sepolte in qualche parte del globo in condizioni di sicurezza fino al loro totale decadimento, pena l’inquinamento di vaste zone terrestri,in cui la radioattività, colpendo piante e animali se non direttamente l’uomo, raggiungerebbe comunque l’uomo attraverso la catena alimentare.

E dato che il mare occupa i quattro quinti della superficie terrestre ed è caratterizzato da un ampio volume, gli scienziati hanno “ naturalmente “ pensato al mare come deposito di tali sostanze letali.

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Lo stronzio 90 contaminerà tutto il mondo ittico . “ Lo stronzio 90 si concentrerà soltanto nella struttura ossea degli animali. C’è qualcuno che mangia lische o spine? Si, le galline, i suini, i bovini, ecc. dovrebbe sapere, caro lettore, che uno dei sottoprodotti dell’industria del pesce in scatola è che producono appunto un tipo di mangime a base di spine e lische di pesce. Mangeremo uova radioattive e, quel che peggio, le mangeranno i nostri bambini.

Da non dimenticare che mentre si scoprivano gli effetti letali del DDT, l’industria produceva un’altra sostanza ancora peggiore, il PCB ( bifenilepoliclorurato ) utilizzato nell’olio di trasformatori, in scambiatori di calore, in isolanti per condensatori elettrici ad alto voltaggio, in cosmetica, nell’inchiostro per stampa, e in altri preparati ancora.

Questa sostanza, la cui possibilità di eliminazione in mare è minore di quella del DDT, ha già causato avvelenamenti di massa, come quello del 1968 in Giappone conosciuto con il nomedi : “ kanemi riceoil case “ ( Caso dell’olio di riso di Kanemi,paese del Giappone occidentale): Alcune migliaia di persone furono colpite dalla malattia, molti morirono nel giro di tre anni, e si registrarono molti casi di bambini nati morti o con malformazioni.

Per affrontare un discorso complesso come quello dell’inquinamento delle coste, ritengo sia necessario fornire al lettore, prima di tutto, una definizione del concetto di costa. In un modo un pò pedante, forse, ma chiaro, si può dire che le coste sono quel complesso di elementi comprendente, oltre alla zona situata al confine tra la terraferma e il mare nella quale agiscono  il moto ondoso e le maree, tutte quelle porzioni di territorio che per qualche carattere oggettivo entrano in rapporto con l’ambiente marino antistante e, viceversa, tutta quella porzione di mare che per analoghe ragioni entra in rapporto con il territorio retrostante.

I fattori che possono contribuire a definire la costa possono essere di natura geografica ( complessi orografici, dune, foci di fiumi, stagni, paludi, isole, fondali marini ) e di carattere ambientale ( ambiente naturale, boschi, colture, insediamenti rurali, urbani ). Le coste così definite costituiscono dunque un bene culturale sia nel loro insieme sia negli elementi che le compongono,per il loro oggettivo riferimento alla storia della civiltà oltre che per l’ambiente naturale che costituiscono, ambiente composto da elementi che si trovano gli uni con gli altri in stretto rapporto ecologico, di modo che l’alterazione dell’uno si riflette sugli altri.

Le coste, dunque, sono oggi avvelenate. Quali sono le alterazioni che hanno subito? Esse sono di due diversi tipi: alterazioni fisiche e trasformazioni urbanistiche. Le alterazioni fisiche consistono nella distruzione delle difese naturali, nella modificazione dell’equilibrio idrico attraverso la distruzione della vegetazione costiera con demolizione o escavazione delle dune, demolizione o escavazione delle difese geologiche, distruzione della macchia mediterranea, bonifica delle paludi, degli stagni costieri e delle lagune.

img034Un terzo tipo di alterazione fisica delle coste è quello determinato dall’inquinamento marino, soprattutto attraverso lo scarico dei residui della lavorazione dei prodotti petroliferi e del lavaggio delle petroliere in mare aperto e gli scarichi delle fognature nei pressi degli agglomerati urbani con la presenza di detergenti non biodegradabili , cui si aggiunge l’inquinamento di tipo industriale, diverso da quello petrolifero,che avviene in mare attraverso lo sfociare delle acque interne già largamente inquinate.

Per quanto riguarda la trasformazione urbanistica, essa consta di svariati interventi, che vanno dalla massiccia presenza degli stabilimenti balneari, alle lottizzazioni edilizie incontrollate, alla costruzione di innumerevoli villaggi per le vacanze, allo sviluppo dei porti turistici.

Un altro elemento che ha agito negativamente sulle coste di vari paesi mediterranei è la presenza, proprio sulla duna costiera o nelle sue immediate vicinanze, di infrastrutture stradali o ferroviarie. Ultimo, ma non certo per importanza,l’argomento degli insediamenti industriali: raffinerie, attracchi per petroliere, centrali termoelettriche e nucleari, impianti siderurgici.

img035Per evitare la totale distruzione della vita nei mari e la nocività dell’aria dalla quale in definitiva dipende la vita dell’uomo stesso sono necessari interventi urgenti e massicci, sia da parte di ciascuno Stato nell’ambito del proprio territorio, sia in via generale attraverso accordi internazionali.

La spesa sarà enorme ( si calcola che per arrestare e per invertire l’attuale tendenza occorreranno cifre valutabili intorno al 7-8 per cento di tutto il reddito globale mondiale ), ma si tratta del prezzo del riscatto del FAUST degli anni ottanta, un prezzo che non può non essere pagato.

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                                                                  Italo  Piazza

                                                        Editorialista-Malacologo

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