
Sotto il palco la gente continua ad acclamarlo. Sono “renziani”, verrebbe da dire, ma lui quella parola non la vuole sentire.
Prima ci scherza (“Manco fossero una malattia pericolosa, eh?”) poi piazza il colpo più acuminato: “Possiamo noi democratici dividerci non sulle idee, ma sulle amicizie? Ve lo dico: se divento segretario, rottamiamo le correnti, non abbiamo bisogno di cose inutili“. A chi è lì ad ascoltarlo, sembra una candidatura ufficiale e viene accolta con entusiasmo.
Il suo programma, in fondo, è già pronto: “Non finire il mandato con il Pd che ha meno tessere, meno voti e meno consenso di quando si è partiti”. Renzi sa che c’è anche un problema di comunicazione, che va fatta come si deve (“Spieghiamo che non è che il Pdl ha tolto l’Imu e il sindaco mette la service tax“), per cui bisogna unire i social network e i volontari che vanno casa per casa.
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