Nuova nomina vescovile a Cefalù: un rituale dimenticato

Avete udito il suono insolito delle campane a festa?

Venerdì 16 febbraio, alle ore 12, nel punto nevralgico della Sala Sansoni presso l’episcopio di Cefalù, appena accanto all’imponente Cattedrale arabo-normanna, è stato proclamato un annuncio tanto atteso.

La diocesi è stata chiamata a raccolta nelle ore precedenti con molta trepidazione per accogliere una grande novità: l’arrivo di un nuovo Pastore. E’ per questa ragione che l’intero presbiterio diocesano, da Piano Zucchi a Valledolmo, da Gangi a Campofelice, passando per Castelbuono e per le interminabili borgate del mare e della montagna madonita, si è affrettato per raggiungere il centro diocesano, il suo cuore pulsante, Cefalù.

Un dono di grazia da parte del Santo Padre, il nuovo Vescovo è il simbolo della cura della Chiesa per i suoi fedeli in ogni parte del mondo. Così le campane hanno suonato a festa, come una eco di gioia, armonica ed entusiasta, come un rimbalzo di felicità collettiva che però poteva essere vissuta e goduta più a pieno.

Quella che è mancata, o per meglio dire, che è andata dimenticata, è la ritualità di un momento storico per la Chiesa Locale. Un’occasione persa di trasmettere alle nuove generazioni che l’annuncio dell’arrivo del nuovo vescovo non è competenza esclusiva degli addetti ai lavori, non riguarda solo gli affari della Chiesa che si compiono dentro quattro mura.

C’è un’attesa e c’è un annuncio che seguono un iter poetico se vogliamo e che la Chiesa cerca di mantenere – per fortuna – a suo modo: chiamando a sè il Popolo Santo di Dio, chiamando a sè i sacerdoti, le associazioni e i gruppi che questa chiesa la vivono giornalmente. Sceglie di cadenzare questi momenti, di scandirli appunto con i rintocchi di una campana che da Cefalù rimbalzano su Pollina, su San Mauro e via dicendo.

Invece il rimbalzo progressivo è stato troncato dalla frettolosità di questo tempo, limitandosi all’immediata condivisione social che non rispetta nessuna regola al di fuori del “tutto e subito”, con un giro di condivisioni che procedeva a ritmi di clic e non di scampanii. La sostanza non cambia e informare bene è una priorità, ma la forma ha un suo valore, ritualistico, che comunque è andato dimenticato.

Sofia D’Arrigo

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