Sequestro antimafia per 10 milioni di euro

sequestro antimafiaI carabinieri del R.O.S. hanno eseguito un decreto di confisca, emesso dal Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione su richiesta della locale Procura Distrettuale nei confronti dell’imprenditore Giuseppe Ferrante e del collaboratore di giustizia Francesco Franzese, già reggente della famiglia di Partanna-Mondello. Il valore stimato dei beni, in parte già sottoposti a sequestro preventivo da questo Reparto nel corso delle attività investigative condotte tra il 2009 ed 2011, ammonta a circa 10 milioni di euro ed sono costituiti dall’intero capitale sociale e relativo complesso di beni aziendali di 2 società edili con sede in Palermo, partecipazioni societarie, immobili in Carini e Palermo, rapporti bancari e polizze vita.

Il collegio ha accertato che Ferrante aveva costruito la propria fortuna economica esclusivamente con l’appoggio di esponenti mafiosi con i quali si era sempre affiancato per ottenerne indubbi vantaggi, incarnando a pieno titolo il profilo dell’imprenditore “colluso” in grado di condizionare negativamente le libertà di mercato e di iniziativa economica. E’ stato così riconosciuto il rapporto societario di fatto, emerso nel corso delle indagini, che consentiva al titolare formale di avvalersi del ruolo in Cosa Nostra ricoperto dal socio occulto, Franzese, che lo facilitava nei pagamenti, nel reperimento dei fornitori – a loro volta legati all’organizzazione mafiosa – e nella possibilità di effettuare le opere.

Senza l’intervento dell’ex reggente della famiglia di Partanna-Mondello l’imprenditore non avrebbe mai potuto realizzare taluni progetti. L’esistenza del rapporto col “garante”, aveva inoltre agevolato l’acquisto di terreni, inducendo il proprietario ad effettuare la vendita a condizioni più vantaggiose. Per un certo periodo, peraltro, l’esponente mafioso era stato assunto come capocantiere dal costruttore, sia per mascherare l’effettivo ruolo da lui rivestito ma, soprattutto, per consentire al primo di potersi recare fuori dal territorio comunale di Palermo ove era confinato dall’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Nell’arco temporale in cui il boss era divenuto latitante la moglie di questi aveva consegnato all’imprenditore un’ingente somma di denaro che, almeno in parte, proveniva direttamente dalla cassa dell’organizzazione mafiosa.

In tal senso è stato dimostrato che il rapporto occulto con esponenti mafiosi non era un fatto isolato, determinato magari da rapporti di mera frequentazione o disinteressata amicizia, ma una sorta di modus operandi che consentiva all’uomo di approfittare in materia determinante e non occasionale del rapporto intrattenuto con esponenti mafiosi per svolgere la sua attività economica. Il medesimo imprenditore, sulla scorta delle acquisizioni prodotte all’esito delle precedenti investigazioni, in data 28 ottobre è stato altresì riconosciuto colpevole del delitto di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e condannato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione, 1.000,00 euro di multa e all’interdizione dai pubblici uffici per anni 5. Si è invece prescritta l’imputazione di trasferimento fraudolento di valori.

 

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