Mandatelo a casa. Questa sera a Cefalù il consiglio comunale della verità

Si dissolvono come neve al sole i castelli di carta di Lapunzina e soci. Al di là della dichiarazione di dissesto, che come sostengono in tanti, sarà questione di ore oppure, come sperano i seguaci del primo cittadino, si tratta soltanto dell’ennesima inutile iattura, la disfatta è sotto gli occhi di tutti.

Sono soltanto un ricordo i comizi della campagna elettorale dove l’allora candidato sindaco raccontava ai propri cittadini di avere nel cassetto un progetto per salvare la città dal dissesto finanziario e rilanciarla facendole riconquistare un meritato posto al sole. Non è da escludere che il primo cittadino questa sera racconterà ai consiglieri che in questi trenta mesi di sindacatura ha provato in ogni maniera a scongiurare una triste pagina di storia per la città. Di fatto però Lapunzina ha soltanto allungato l’agonia del malato, accanendosi in una terapia che era scontato non potesse portare ad una miracolosa guarigione. I cittadini saranno presto costretti a pagare per scelte politico-amministrative errate e continui scarica barile che hanno riempito le pagine della “gestione” Lapunzina.

Il dissesto, ormai alle porte, porterà la tassazione alle massime aliquote per i prossimi cinque anni e la conseguente riduzione dei servizi all’essenziale. Cefalù e i cefaludesi subiranno quindi beffa e danno. Dopo tre anni nei quali la popolazione è stata costretta a tirare la cinghia, per seguire le scelte errate di chi ha amministrato, adesso sarà ulteriormente penalizzata per il prossimo lustro. Il tanto bramato e, panacea di ogni male, piano di riequilibrio si è letteralmente piegato sotto le (legittime) richieste di pagamento, frutto di intese scritte, firmate congiuntamente al creditore dallo stesso ente che ne garantiva la solvibilità alla corte dei conti e che subito dopo non ha saputo sostenere.

Nuove ombre si stagliano all’orizzonte del municipio. Arriva, pesante come un macigno, il verdetto del revisore dei conti, chiamato in fretta e furia dallo stesso sindaco non appena il piano di riequilibrio ha cominciato a scricchiolare. I dati parrebbero impietosi e l’arrivo delle ingiunzioni inviate dai creditori solo una (s)fortunata coincidenza.

Mancherebbero infatti circa quattrocentomila euro delle entrate stimate nel piano provenienti dai soli oneri di urbanizzazione previsti per il biennio 2013/2014. Di oltre un milione e centomila euro invece sarebbe lo scarto fra le entrate straordinarie previste, frutto della riscossione delle tasse patrimoniali pregresse e quelli realmente esigiti. A quasi un milione e cinquecentomila euro ammonterebbero invece i mancati introiti frutto della roboante alienazione del patrimonio immobiliare dell’ente.

Alla luce di ciò il revisore sembra esser stato lapidario dichiarando che il prospetto di gestione corrente non è stato rispettato dall’ente così come le rateizzazioni da esso previste. Dunque anche se il consiglio comunale dovesse aumentare le residue entrate tributarie non si potrebbe lo stesso garantire il pareggio di bilancio. Chi amministra, dopo aver sempre scaricato la responsabilità della situazione su altri, dovrà presto passare a recitare il mea culpa; soltanto le sue dimissioni o la sua destituzione, esattamente come accade nei regimi totalitari, potrebbe ridare una speranza alla città. Vedremo dunque se i consiglieri comunali, mossi dall’amore per la propria città, sfiduceranno il primo cittadino rimettendosi alla volontà del popolo sovrano.

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